PASOLINI

P.P.Pasolini

Pasolini nasce a Bologna nel 1922, il padre ufficiale di carriera la madre una maestra elementare. La famiglia nei primi anni di infanzia dello scrittore si sposta molto da una città all’altra del Nord Italia per il lavoro del padre, ma spesso la madre con Pier Paolo e i l fratello minore va a Casarsa suo paese di origine. Il rapporto della famiglia con il padre è conflittuale a causa del vizio del gioco del padre. Per i continui spostamenti della famiglia  Pier Paolo non riesce a frequentare le stesse scuole e a farsi amicizie durature, per cui l’unico suo passatempo sono i libri: legge moltissimo Omero, Carducci , Pascoli, D’Annunzio, Rembaud, Ungaretti , Montale, la narrativa straniera tra cui Dostojevskij e Tolstoj. Pasolini è molto bravo al liceo e per questo decide di diplomarsi con un anno di anticipo poi si iscrive alla facoltà di lettere laureandosi con una tesi su Pascoli Nel 1941 il padre dello scrittore va in guerra in Africa Orientale,  viene catturato dagli inglesi ed internato in un campo di prigionia in Kenya. Pasolini inizia a scrivere poesie in lingua friulana e le pubblica nel 1942 con il titolo di Poesie a Casarsa,collabora ad una rivista della Gioventù italiana del Littorio ma escono pochi numeri poiché il giornale è in contrasto con la linea dell’editore. Nella primavera del 1943 Pasolini racconta ad un amico della sua prima esperienza omosessuale. Sempre nel 1943 il poeta fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre, riesce  a scappare ma non torna a Casarsa poiché la città e poco sicura dopo la nascita della Repubblica di Salò di Benito Mussolini. Il fratello si unisce alla brigata partigiana cattolica di Osoppo e Pier Paolo e la madre si stabiliscono a sud – est del centro di Casarsa, qui organizzano una scuola privata per  bambini e ragazzi che a causa dei bombardamenti non possono frequentare la scuola. Il fratello pochi mesi dopo viene fucilato dai partigiani comunisti per divergenze politiche. Nel 1946  Pasolini partecipa ad un bando per un premio di poesia in Svizzera a Lugano con una raccolta dal titolo  L’usignolo della Chiesa cattolica. Nel 1947 dopo la guerra si iscrive al Partito Comunista e continua a scrivere poesie in dialetto friulano, raccolte in un libro che poi intitolò La meglio gioventù. Intanto nel 1948 le condizioni di salute del padre peggiorano poiché è alcolizzato e diventa ogni giorno più violento. Nel ’49 Pasolini pubblica un’altra raccolta di poesie friulane Dov’è la mia patria e in questo stesso anno viene denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Viene espulso dal Partito comunista per la sua condotta omosessuale e perde il posto di insegnante. Nel 1950 assieme alla madre fugge a Roma ed inizia a cercare lavoro. Nella capitale viene attratto dalla lingua delle borgate e dal gergo popolare, comincia a studiarla come prima aveva fatto con il dialetto friulano. Inizia a scrivere Ragazzi di vita  ma anche questa volta viene denunciato per oscenità del romanzo. Scrive alcuni racconti poi raccolti nel volume Alì dagli occhi azzurri  ,  questo libro contiene anche la sceneggiatura di alcuni film. A Roma conosce  poeti e scrittori e comincia ad insegnare di nuovo in una scuola media di Ciampino. Nel 1952 cura  una Antologia di poesie del Novecento in dialetto  e montale scrive la recensione del volume. Nel 1954 comincia a dedicarsi al cinema. Anche se continua a scrivere poesie che raccoglierà in un volume dal titolo  Le  ceneri di Gramsci pubblicato tre anni dopo. Nel 1958 nasce il suo secondo romanzo Una vita violenta e riceve una nuova denuncia., in quello stesso anno muore il padre.Nel 1959 Pasolini scrive sulla rivista Officina ma poiché  scrive un epigramma contro  papa Pio XII la rivista viene prima criticata e poi cessa le pubblicazioni. Nello stesso anno lo scrittore traduce un’opera dal greco Orestiade di Eschilo su suggerimento dell’attore Gassman e scrive il copione del suo primo film Accattone  . Tra il 1961 e ’62 viaggia molto insieme allo scrittore Moravia e a sua moglie Elsa Morante, si reca in India,  in Africa e in Yemen, l’esperienza in India viene  trascritta e pubblicata nel volume .  Nello stesso periodo  pubblica un’altra raccolta di poesie : La religione del mio tempo. E’ del 1962 anche la sceneggiatura del film Mamma Roma e  La Ricotta, per quest’ultimo film viene ancora una volta denunciato per vilipendio alla religione dello Stato. Due anni dopo Pasolini pubblica una raccolta di poesie  dal titolo Poesie in forma di rosa, scrive un film Il Vangelo secondo Matteo e  Uccellacci, Uccellini. Nel 1965 dopo aver letto i Dialoghi di Platone scrive di getto 6 Tragedie e lavora di getto ad altri due film Teorema ed Edipo re. Alcuni anni dopo, quattro anni prima del suo omicidio pubblica una nuova raccolta di liriche Trasumanar Organizzar. Intanto  continua a viaggiare e si reca negli Usa a New York  nei quartieri più poveri. Dal 1969 al 1974  escono  altri film: Porcile,  Medea, I Racconti di Canterbury, Il Decameron, Il fiore delle mille e una notte. Dal 1972, tre anni prima del suo assassinio aveva cominciato a scrivere un romanzo Petrolio che sarà pubblicato dopo la sua morte e articoli che saranno pubblicati in un volume dal titolo  Scritti Corsari.  Scrive  altre due opere teatrali Calderon e Affabulazione. Nell’anno del suo assassinio avvenuto all’idroscalo di Ostia Pasolini  gira il suo ultimo film Salò, e pochi mesi dopo il suo assassinio verranno pubblicati  un nuovo volume di poesie in dialetto friulano  La nuova gioventù e il volume Lettere Luterane, costituito da articoli che il poeta aveva scritto sul Corriere della sera .  Nel 1979 escono anche Descrizioni di descrizioni ossia altri articoli scritti da Pasolini sul giornale Il Tempo.

RAGAZZI  DI  VITA

E’ un romanzo nato dallo studio e dall’interazione di Pasolini con il mondo del proletariato e sottoproletariato delle borgate romane, egli gira con l’amico poeta Sandro Penna  le zone popolari e registra tutto ciò che vede. I protagonisti sono “ragazzi di vita” espressione che allude a ragazzi dediti alla prostituzione. Il romanzo si divide in capitoli che contengono vari episodi diversi l’uno dall’altro, strutturati come racconti autonomi e legati da un io narrante. Gli episodi sono ambientati nell’immediato dopoguerra dal ’44 al ’51 e  sono scritti con una tecnica simile  al montaggio cinematografico in cui è palese l’influenza della corrente del Neorealismo. Il personaggio di Ricetto non è il solo protagonista ma ha un ruolo rilevante all’interno del testo, il giorno della sua prima comunione ruba da una fabbrica bombardata alcuni ferri vecchi per rivenderli; gli altri personaggi si alternano con una narrazione corale. Nell’ultimo capitolo Ricetto lascia che il giovane Genesio anneghi  nel Tevere e non si tuffa come aveva fatto nell’esordio del romanzo, quando si era tuffato  nel Tevere solo per salvare una rondinella travolta dalle onde. Il cambiamento di Ricetto è evidente nella  indifferenza con cui, nell’ultimo capitolo, lascia annegare l’amico, la sua freddezza   è contrapposta alla ingenuità e all’incoscienza iniziale, quando per  salvare una rondinella si era gettato di istinto nel fiume. Tutti i personaggi del romanzo appartengono, pertanto, al sottoproletariato, hanno  aspetti ambivalenti: sono furbi e ingenui,  violenti e innocenti, analfabeti e selvaggi allo stesso tempo. Sono delinquenti con istinto della sopravvivenza, oscillano tra il sentimento e la ricerca ossessiva del denaro, ai margini della società capitalistica e ricca senza nessuna prospettiva di miglioramento.

Il linguaggio è quello del dialetto, tuttavia esso ha anche una valenza ed un significato simbolico: indica il mondo separato delle borgate, non ancora contaminato dalla realtà del mondo borghese e consumistico ma sul punto di esserne travolto a breve. Al dialetto e al gergo della malavita si affianca un italiano semplice nella sintassi e nel lessico. La narrazione è descrittiva, quasi di cronaca, con un taglio cinematografico nella descrizione dei particolari. La vita dei personaggi si svolge in spazi aperti, alla ricerca di svago, di denaro, di cibo ma sempre priva di prospettiva, fine a se stessa. Il realismo è crudo, ossessivo e senza alcun giudizio morale. Il romanzo riceve critiche da destra, da sinistra  e anche dal mondo cattolico, la denuncia per pornografia contro lo scrittore lo priva di qualsiasi riconoscimento, pur essendo il romanzo un’opera originale ed apprezzata molto dal pubblico. Il processo al libro per  oscenità si celebra nel 1956 e a difendere Pasolini c’è il poeta Ungaretti.

UNA VITA VIOLENTA

La stesura di questo romanzo termina nel 1958, siamo ancora nel clima del Neorealismo.  Pasolini rivede e taglia alcuni brani dell’opera prima di pubblicarla autocensurandosi, ma non basterà ad evitargli altre denunce. Il libro è diviso in capitoli come il precedente romanzo, è incentrato sulla vita di Tommaso il protagonista che si inserisce nelle  vicende politiche e sociali di quegli anni. Il testo appare ancora più realistico del precedente, meno simbolico, privo di allegoria. Tommaso è violento, non è bello,  è amorale. Un ragazzo povero che vive di furti e di prostituzione, alla ricerca di una affermazione sociale, viene arrestato per aver accoltellato un uomo in seguito ad una lite. In carcere ci resta due anni poi torna in famiglia in una casa popolare assegnata dal Comune, ma le differenze tra lui e i ragazzi borghesi e studenti  paradossalmente si accentuano ancora di più, anche dopo che ha lasciato la baracca ed è andato ad abitare nella nuova casa. Tommaso si ammala di tubercolosi e nel sanatorio comincia a frequentare  gli iscritti al Partito comunista e a fare attività politica. Durante una inondazione del fiume Aniene salva una donna sul punto di annegare e la sua tubercolosi peggiora fino a condurlo alla morte. Anche in questo romanzo l’ambiente è quello del sottoproletariato romano, ora però il personaggio cerca di emergere, la sua attività politica è un modo per farlo, infatti appare strumentale, Tommaso prima si dichiara fascista poi democristiano e infine comunista. L’uso del dialetto è ancora più accentuato  rispetto al primo romanzo, la narrazione è ancora più obiettiva, si intravede lo scenario cittadino ma il personaggio rimane imprigionato alla sua realtà marginale.

STORIA DELLA CITTA’ DI DIO

E’ un libro che raccoglie racconti, saggi e reportage di Pasolini scritti negli anni Cinquanta e Sessanta (1950-1966) che anno come comune denominatore Roma. Quest’opera è stata pubblicata molti anni dopo la morte dello scrittore, negli anni Ottanta. Nel Titolo c’è un richiamo al De civitate dei di S.Agostino.

LE CENERI DI GRAMSCI

Sono 11 poemetti pubblicati nel 1957: i primi sei rappresentano una celebrazione degli aspetti concreti del mito del popolo, dal settimo poemetto in poi Pasolini mette in discussione questo mito, denunciando “ i nemici” del mondo popolare, senza rinunciare alla speranza di un riscatto, di un miglioramento della vita del popolo. L’opera sembra anticipare e, al tempo stesso, negare le idee della nuova corrente della Neoavanguardia, infatti è opera di grande modernità. Con la sua riflessione sui cambiamenti in corso nella società italiana  si rifà alle scelte metriche di Pascoli, le terzine dantesche incatenate ricalcano il modello dei Poemetti di G.Pascoli e la poesia didascalico-civile. C’è uno sperimentalismo linguistico presente già in Pascoli ma allo stesso tempo è presente un linguaggio elevato e classico, l’endecasillabo non è mai regolare e gli enjambement, rompendo il ritmo sintattico  sono insistiti, frequente è la figura retorica dell’ossimoro. Degli undici poemetti il n. 7 ha per titolo Le ceneri di Gramsci e prende il titolo che Pasolini darà a tutta l’opera. Il poemetto è  tra i più significativi dell’intero libro, poiché il poeta fa riferimento alla figura del pensatore Gramsci  e al fallimento di quella che doveva essere una rivoluzione ed una rigenerazione morale della società dopo la seconda guerra mondiale e che non c’è stata. Le espressioni più emblematiche di questo fallimento sono nelle prime tre parti del componimento: impura aria, giardino straniero, mortale pace e disamorata come i nostri destini. Ancora significative di uno stato d’animo di sconforto sono : autunnale maggio,grigiore del mondo, tra le macerie finito il profondo ed ingenuo sforzo di rifare la vita.  La parola  estraneo e straniero, bandito, estranei morti, stranito appartengono allo stesso campo semantico della estraneità e diversità. Nelle ultime tre parti del poemetto Pasolini si sofferma su se stesso, con le sue contraddizioni, il desiderio di cambiamento che diventa sempre più impossibile nella realtà del momento. Si abbandona all’ebbrezza della vita con amarezza e sensi di colpa perché sa che non può bastare ma che è l’unica cosa che vuole fare per rimanere attaccato alla vita e sentirsi ancora vivo. Nell’explicit  del componimento si rivolge ancora a Gramsci congedandosi da lui. Esce dal cimitero e si guarda intorno ascoltando i rumori , osservando i colori della città con l’amarezza di chi sa che il suo sogno di “rifare la vita” è finito così come lo è stato per Gramsci. Non rinnega il suo ideale  ma sa che non può essere più realizzato facendo riferimento al sottoproletariato,  al popolo  al quale  è vicinissimo ed estraneo allo stesso tempo.

L’USIGNOLO DELLA CHIESA CATTOLICA

Sono poesie  alcune delle quali in dialetto friulano. Tema principale è il rapporto tra Pasolini ed il “peccato” o meglio la lotta tra peccato e rimorso ( vedi sezione Il pianto della rosa). Ci sono episodi della vita di Cristo e preghiere cattoliche ma c’è un  netto contrasto tra la figura di Gesù e la Chiesa cattolica come istituzione. Nelle liriche dedicate alla madre il poeta ripercorre l’infanzia felice  e la purezza perduta, della quale però non si sente del tutto privato. Le fonti a cui si rifà sono la poesia provenzale, infatti l’usignolo è un topos presente nella lirica dei poeti provenzali. La contaminazione tra sacro e profano rimanda anche alla lirica decadente di Baudelaire Verlaine e Rembaud.

POESIA IN FORMA DI ROSA

Sono poesie autobiografiche pubblicate nel 1964, i temi sono l’omologazione, il vuoto esistenziale, la crisi dell’ideologia rivoluzionaria. Compare qui  il mito del Terzo mondo, verso il quale ora il poeta rivolge lo sguardo. In alcune liriche c’è un sentimento di esclusione,  di solitudine, diversità. Egli ha la consapevolezza “di  essere un figlio che non sarà mai padre”,  di chi sa che “ non può essere amato da nessuno e  nessuno egli può amare”.

SCRITTI CORSARI   E   LETTERE LUTERANE

Sono articoli che Pasolini scrisse per lo più sul Corriere della sera pochi anni prima della sua morte. Tra le due opere c’è ovviamente una linea di continuità i temi sono ancora quelli della omologazione culturale prodotta dal consumismo, essa ormai accomuna persone appartenenti alle diverse classi sociali. In alcuni articoli è chiara la condanna della classe politica italiana connivente con la mafia o responsabile delle stragi avvenute in Italia in quegli annio  della stupidità della informazione televisiva.  L’Italia alla fine del boom economico si ritrova a vivere l’incubo delle stragi e del terrorismo. Il consumismoha ormai “accomunato borghesia e popolo, fascisti e antifascisti”. Nei titoli delle due opere c’è l’allusione all’intellettuale Pasolini, riformista, “luterano”, “eretico” nei confronti della cultura contemporanea, “corsaro” che rompe gli schemi di una società stagnante e in decomposizione dal punto di vista morale e ideologico.

IL CINEMA

Pasolini regista cinematografico, è erede professo di Roberto Rossellini, non solo proseguì l’esperienza del Neorealismo, ma ne estrasse la sostanza,  ne superò i limiti ideologici. La sua opera cinematografica scandalizzò anche i marxisti di sinistra, i quali videro nei suoi primi film un brutale realismo provocatore e in quelli successivi una regressione decadente e individualistica. La sua opera suscitò  polemiche e aggressioni verbali nei suoi confronti ma ottenne anche numerosi riconoscimenti e premi. Nelle sue opere cinematografiche è  sin dall’origine una profonda e straordinaria mescolanza di sacro e profano, di spietato realismo e altrettanto intensa religiosità. Il sesso è sacro quanto l’anima e nella carne si manifesta lo spirito. Pasolini esordì nella regia nel 1961 con Accattone, portando sullo schermo quei ragazzi delle borgate romane di cui aveva già proposto in letteratura il linguaggio affascinante e sboccato con il romanzo Ragazzi di vita (1955). Di Accattone fece scandalo non tanto la rappresentazione realistica della vita di borgata, quanto la paradossale consacrazione dei volti di ruffiani, ladri, prostitute, assassini, interpretati da attori  ‘presi dalla strada’ attraverso uno stile ieratico dichiaratamente ispirato a Masaccio e ai pittori del Trecento toscano, come A. Lorenzetti e alle sue icone di santi su fondo oro. Essenziali per comprendere lo spirito del cinema pasoliniano sono anche i riferimenti costanti a Dante, dal primo all’ultimo film. Accattone è un fannullone, un ‘magnaccia’ e ladro, seduce con un regalino Stella e la convince a prostituirsi, ma le sofferenze della ragazza, che lo ama davvero, provocano in lui un pentimento improvviso e fanno nascere l’amore nel suo cuore inaridito. Accattone decide di andare a lavorare ma, incapace di sopportare la fatica, torna a rubare, viene colto sul fatto e muore fuggendo. Le sue ultime parole suggeriscono che ha raggiunto la pace, ottenendo con il suo pentimento la grazia e viene perdonato, nonostante le molte colpe. L’’immagine che lo mostra dall’alto di ponte Milvio mentre si tuffa nel Tevere, lo assimila a un angelo. Nel film successivo Mamma Roma (1962) la scena iniziale mette in scena il banchetto di nozze di un’ex prostituta, fra porci e oche, mentre quella finale, pone in risalto il corpo di Ettore steso e legato sopra un tavolaccio di contenzione che ricorda il  Cristo morto di A. Mantegna, e consacra con ‘l’eternità dello stile’ i personaggi degradati di una storia comune. Una prostituta, che porta il metaforico nome di Mamma Roma riesce a riscattarsi e ad aprire un banco di verdura, ma i suoi sogni piccolo-borghesi vengono irrimediabilmente infranti dal ritorno del suo ex ‘protettore’. Questi, infatti, svela al figlio Ettore la professione originaria della madre, portandolo così alla disperazione e alla morte. Anche in questo caso, la citazione dantesca collocata alla fine, in cui si narra l’ingresso nella città di Dite, offre una chiave di lettura: la realtà delle borgate romane rappresenta una vera e propria discesa negli inferi. Con Il Vangelo secondo Matteo (1964), Pasolini vinse il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia e il Nastro d’argento alla regia. Opera di straordinaria ricchezza iconografica, messa in scena in Calabria e in Basilicata, il film mostra un Cristo ascetico, combattivo. Qui siamo lontani dal Neorealismo per  il carattere atemporale della rappresentazione. La  storia si intreccia con il mito e le  musiche di Bach, alternate con gli spirituals e con una messa africana, contribuiscono alla potente originalità. La ricotta, altro lavoro cinematografico di Pasolini venne condannato per vilipendio alla religione di Stato, e che uscì nuovamente, dopo che lo scrittore ebbe ‘corretto’ alcune battute.  Una povera comparsa, dal significativo nome di Stracci, interpreta il ladrone in un film su Gesù Cristo, e dopo aver rubato e divorato alcuni cestini del pranzo, muore di indigestione sulla croce. Nei numerosi cortometraggi viene in luce l’aspetto più innovativo di Pasolini, che pensa a un cinema capace non solo di raccontare storie, ma anche di scuotere le menti, di far pensare. Nell’episodio La Terra vista dalla Luna la morte e la resurrezione di Assurdina, perfetta donna di casa nelle oscure e colorate bidonville di una Roma , si concludono con la morale che “essere vivi o essere morti è la stessa cosa”. Il breve episodio Che cosa sono le nuvole? è uno splendido apologo platonico sulla vita e sulla morte che mostra Totò nella parte di Jago e Ninetto Davoli nella parte di Otello. Entrambi, però, sono solo due marionette di legno in un teatrino di borgata e, fatti a pezzi dagli spettatori, vengono raccolti da uno spazzino canterino, che rappresenta la morte e che li getta nella spazzatura. Stesi sopra i rifiuti, ma finalmente all’aperto, fuori dal teatro della vita, scoprono la “straziante meravigliosa bellezza del creato”. In La sequenza del fiore di carta il giovane fannullone Ninetto, che non vuole sapere niente di politica e che porta a spasso la sua giovinezza come un grande papavero di carta, viene condannato da Dio, perché in questo mondo l’ignoranza è una colpa. Anche nei documentari emergono uno stile e una forma di scrittura filmica innovativi. La rabbia (1963), è un commento sulla violenza della sopraffazione degli anni Sessanta, che si conclude con una dolce poesia dedicata a Marilyn Monroe, vista come simbolo dell’innocenza perduta. Comizi d’amore (1965) è una scioccante inchiesta sulla sessualità, realizzata insieme ad Alberto Moravia e Cesare Musatti, tesa a mostrare l’ignoranza retriva degli italiani. Uccellacci e uccellini (1966) è un apologo sull’insufficienza dell’ideologia comunista di fronte alla fame atavica del sottoproletariato. Teorema (1968), adattamento del suo romanzo omonimo, è un’allegoria in cui, l’arrivo di uno sconosciuto che intrattiene rapporti sessuali con tutti i componenti di una famiglia borghese, uomini e donne, provoca una serie di reazioni in cui ciascuno viene messo di fronte a sé stesso e pone in discussione le finte certezze della società conformistica e borghese. Edipo re (1967) e Medea sono due rivisitazioni del mito in cui il tema dello straniero esule viene sviluppato non solo con riferimenti autobiografici, ma soprattutto come una grande metafora della condizione umana. Pasolini vuole cogliere nel mito il significato profondo dell’esistenza umana, aspetti  che ricorrono costantemente nella storia. Le sofferenze di Edipo infatti attraversano i secoli, dalle epoche più remote e arcaiche fino alla Bologna degli anni Sessanta, mentre quelle di Medea, sedotta a abbandonata da Giasone, continuano dal passato della Cappadocia fino al presente. Con l’opera cinematografica Il Decameron (1971)  Pasolini vinse l’ Orso d’argento al Festival di Berlino, con I racconti di Canterbury (1972) l’ Orso d’oro al Festival di Berlino.  Il fiore delle mille e una notte (1974) invece, vinse il Gran premio speciale della giuria al Festival di Cannes. Esso raccoglie tre studi sul rapporto fra arte e vita che, lungi dall’essere una caduta nella nostalgia di un passato inesistente o di una sessualità immaginaria, rivelano tutta la profondità del pensiero dello scrittor: il livido colore dei guappi napoletani nel primo, l’angoscia della notte e dell’incontro con il diavolo nel secondo, e la disperazione del piccolo Nureddin che perde la sua donna e scivola in un mondo diabolico nel terzo, si temperano solo alla fine dei tre film con un ritorno all’arte e alla ricchezza della poesia, che non è semplice illusione, ma illusione consapevole, non fuga dal mondo ma riflessione e creazione, vicinanza di morte e vita; l’arte è conoscenza, comprensione che passa attraverso la morte.  L’ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma, uscito postumo nel 1976, costituisce forse il suo vero atto di provocazione e scandalo, e per la sua brutalità rappresenta ancora un’opera inguardabile e inaccettabile: durante la Repubblica di Salò, un gruppo di fascisti si chiude in una villa con il fiore della gioventù italiana e la stupra all’infinito, in una sequenza di crudeltà e ferocia che rende quel luogo una metafora del mondo, mostrando come il potere sia sempre violenza, possesso degli individui come fossero cose. Salò è un’opera filosofica sul male e sulla prevaricazione. Le immagini finali della tortura e della danza dei carnefici, che rimandano all’iconografia medievale rappresentano la storia come vittoria del male nel mondo e resteranno fra le più crudeli e insopportabili nella storia del cinema. Non meno importante del lavoro di regista fu la riflessione sul cinema con cui P. individua nuove prospettive, in particolare negli scritti Il ‘cinema di poesia’ (1965) e Osservazioni sul piano sequenza (1967), dove delinea un’idea di cinema poetico contrapposto a quello prosastico-narrativo imposto dall’industria hollywoodiana, saggi poi raccolti in Empirismo eretico (1972).