La poetica

Uno dei caratteri essenziali del Canzoniere di Saba va individuato in un senso di angoscioso “ritorno”, in un avvilupparsi di infanzia, giovinezza, maturità, luoghi, amori, ma soprattutto in quel suo desiderio di attingere ad una dimensione di felicità impossibile. Nell’opera di Saba è evidente il fortissimo legame tra scrittura e disarmante volontà di “bene”, di dolcezza e leggerezza ma anche una tortuosa contraddizione, una scissione dell’io, una sorta di sdoppiamento. Egli adopera la parola come voce di vita e di verità, espressione di gioia ed angoscia al tempo stesso,  possibilità di relazionarsi e comunicare con il mondo. Nella sua personale disperazione non crede in una “universale inabitabilità del mondo, crede semmai a una malattia che lo rende inabitabile”( Debenedetti, La poesia del Novecento.) Nella misura in cui si può confidare o  illudersi nella guaribilità delle malattie, crede che, attraverso la guarigione ,il mondo possa ridiventare abitabile.  La sua poesia parte da occasioni di esistenza, traduce fatti, vicende reali e quotidiane, sconfinando nel racconto o nel “romanzo” personale; una poesia “onesta” perché aderisce all’autenticità dell’esistenza e si apre alla comunicazione ampia anche a rischio di apparire ingenua o elementare. La ricerca di una dimensione “infantile” è aspetto caratterizzante la produzione di Sabae tradisce l’aspirazione a una felicità concreta, l’anelito ad un mondo leggero  e liberato dall’oppressione. Il desiderio  della semplicità e della gioia è tuttavia minato da una inquietudine che ha radici nei nodi irrisolti della sua psicologia, nel fondo oscuro della sua infanzia. Dietro la parola di Saba si intravede “il connubio di sincerità impulsiva e di segretezza”(Debenedetti), l’intima consapevolezza della diversità o della “colpa”. La poesia nasce, pertanto, come una sorta di stillicidio dell’animo e circoscrive lo spazio dell’io che si rivela e si nasconde, cerca di fissarsi  nei momenti in cui si svela per avere significato nel mondo. Il  Canzoniere è pervaso da  una fragilità latente, da qualcosa di dolce, tenero e  “femminile”, una sorta di autodifesa dall’abisso del “negativo”. L’io lirico oscilla in un instabile equilibrio tra affermazioni positive e negazioni radicali di ogni speranza, tenta di estrarre il bene e la gioia dal volto negativo delle cose. L’esperienza della psicoanalisi portò Saba ad approfondire i legami tra poesia e vita psichica più profonda, ad affermare l’importanza di una parola poetica come strumento autentico di conoscenza, “irrilevante” e tuttavia ineludibile per la difesa delle ragioni più autentiche dell’esistenza. Il titolo che ad un certo punto Saba penso’ di dare alla sua opera fu “Chiarezza”, per affermare un principio fondamentale della propria poetica, ossia l’affermazione di una poesia intesa come veicolo umile e onesto di verità limpide che evidenziasse il suo distacco dalla lirica ermetica e ungarettiana, è questa la natura ottocentesca e essenzialmente  tradizionalista della sua poesia. La poetica della chiarezza diviene strumento per sondare  attraverso il linguaggio la realtà del proprio mondo interiore e la natura della nevrosi . La validità del prodotto artistico coincide per Saba con la sua adesione alla verità puntuale, alle leggi elementari della vita, anche a costo di far passare, all’interno della sua opera,  momenti meno riusciti da un punto di vista formale. La poesia è momento terapeutico che analizza e scandaglia “la brama” o il principio del piacere freudiano, ma ha in se’ anche il rischio di diventare  una sorta di attività compensatoria, o consolatoria,  la cui  utilità consiste nel fatto di rimediare alla “perdita” di ciò che gli uomini hanno subito per essere uomini “civili”.  L’elemento compensatorio della bellezza e della ricomposizione formale ha per Saba il rischio  di bloccare il momento liberatorio della verità . Egli tenta di allontanare da sé questa possibilità e scrive che “per la sua particolare poetica, la letteratura sta  alla poesia come la menzogna alla verità” ( U.  Saba, Quel che resta da fare ai poeti). Il poeta resta fedele a un concetto di  onestà letteraria e “resiste  alla dolcezza di lasciarsi prendere la mano dal ritmo o dalla rima”  e lavora con la scrupolosa onestà dei ricercatori del “vero”. Così anche i personaggi esterni che il poeta coglie nella vita e nelle varie situazioni servono ad una sua confessione , anche quando si rapporta ad  essi per affinità o per contrasto. Avverte che la sua inadattabilità gli proviene da tendenze discordi  che si agitano dentro di lui: amore  impetuoso ed istintivo per la vita e male di vivere, bisogno  di mescolarsi al mondo di tutti e bisogno di ritrarsi in se stesso o autocontemplarsi . Nascono, pertanto , dialoghi drammatici nel  Canzoniere, fondati su una contrapposizione forte tra “voci” o stati d’animo che assumono la visibilità di veri e propri personaggi ed emblematizzano la scissione dell’io o il sogno di una ricomposizione serena ed armonica impossibile.