Questo che a notte balugina
Nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d’officina
che alimenti
chierico rosso, o nero.
Solo quest’iride posso
lasciarti a testimonianza
d’una fede che fu combattuta,
d’una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell’Hudson, della Senna
scuotendo l’ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.
Non è un’eredità, un portafortuna
che può reggere all’urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l’estinzione.
Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio
non era fuga, l’umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.
Da “La bufera”
Questa lirica di Montale può essere letta in chiave civile e politica e con “Il sogno di un prigioniero” conclude la raccolta “La bufera” in cui , come Montale stesso ci dice, troviamo “il riflesso della sua condizione storica e della sua attualità di uomo”. Il poeta difende la sua scelta di non impegnarsi in modo diretto nella vita sociale e politica della nazione, uscita da poco dal dramma della seconda guerra mondiale e dalle lacerazioni della dittattura fascista. Egli non vuole vestire i panni di un poeta alfiere di una ideologia o di una posizione dogmatica e ribadisce la sua scelta di lucido distacco. Lo schema della lirica si configura come un’unica strofa di versi liberi, metricamente assai differenti ma in prevalenza endecasillabi. Sul piano semantico essa si dispone su due opposti assi: quello dell’orgoglio e dell’umiltà di chi non potrà opporsi alla terribile fine che ci minaccia quando l’angelo dell’inferno scenderà sui fiumi dell’Occidente a signoreggiare il mondo. In lui pertanto, da un canto c’è l’orgoglio di una autocoscienza che proclama la superiorità della ragione e dell’umanità, dall’altro c’è l’umiltà di colui che non possiede il potere di cambiare lo stato delle cose. Anche il piano lessicale ci indica due emisferi opposti : quello delle tenebre, in cui si accampa “l’ombroso Lucifero” e le sue “ali di bitume” e quello della luce, con le sue diverse tracce ravvisabili nel lume , nella traccia madreperlacea, nell’iride, nel tenue bagliore. All’alternarsi luce-tenebre risponde l’articolarsi di enunciazioni ora positive ora negative. L’asse fondamentale è quello delle negazioni ( non è lume, non è eredità, non può fallire, non era fuga, non era quello).Esse sono però contraddette , nell’explicit del testo, dalla sicura affermazione del sé: Giusto era il segno, Ognuno riconosce i suoi.